I NUMERI DELLA CRIMINALITÀ AMBIENTALE NELLA REGIONE LAZIO
1 – QUADRO GENERALE ILLECITI AMBIENTALI NEL 2010
Crescono in modo preoccupante i reati legati al ciclo dei rifiuti, rimangono stabilmente elevati i numeri dei reati per il ciclo del cemento e aumentano quelli degli incendi boschivi, mentre calano le
infrazioni legate alle illegalità in campo faunistico e all’arte rubata, che avevano fatto impennare i numeri lo scorso anno: nel corso del 2010, nel Lazio sono state accertate 3.124 infrazioni, che rappresentano il 10,1% del totale di quelle accertate sull’intero sul territorio nazionale, ossia 8,5 illegalità al giorno, con un calo di 345 infrazioni accertate rispetto al 2009 (quando erano 3.469). Si dimezza il numero delle persone denunciate, 1.997 contro 2.248 dell’anno scorso, mentre cala il numero dei sequestri che arriva a 751. In drastica diminuzione anche le persone arrestate, 5 contro le 30 dell’anno prima. Nel 2010 nello scenario nazionale crescono invece i reati ambientali accertati dalle forze dell’ordine, pari a 30.824, con un incremento che sfiora l’8% (nel 2009 erano stati 28.586). In questo contesto il Lazio scende, invece, nella classifica nazionale delle illegalità ambientali, ma rimane appena sotto al podio tornando al quinto posto che già aveva nel 2008 dal secondo posto dello scorso anno.
Nelle singole province, a far balzare in avanti i numeri nella Provincia di Roma (con 1.750 infrazioni accertate) è soprattutto il lavoro di repressione degli illeciti amministrativi in campo faunistico perati dalla Polizia Provinciale di Roma che porta al primo posto della classifica provinciale su scala nazionale delle illegalità ambientali commesse nel 2010. La Provincia di Latina si attesta ad un
grave ottavo posto nazionale con 735 infrazioni soprattutto legate a cemento e rifiuti illegali, quella di Frosinone si posiziona al 36° posto nazionale con 269 illeciti, quella di Rieti al 47° posto con 216 illegalità, infine quella di Viterbo al 66° posto con 154 illeciti.
2 – IL CICLO DEI RIFIUTI
Il Lazio scala un’altra posizione nella classifica regionale dell’illegalità nel ciclo dei rifiuti e raggiunge il quinto posto, subito dopo le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. Il numero totale delle infrazioni accertate subisce un incremento del 30% passando dalle 288 registrate l’anno precedente a 376 (6,3% sul totale nazionale). Lieve incremento anche nel numero delle persone denunciate, che passano da 319 a 341, mentre crolla a zero il numero delle persone arrestate, rispetto alle 23 dell’anno precedente e diminuisce il numero dei sequestri a 169 (erano stati 180 nel 2009). Segno questo che probabilmente aumenta la gravità dei reati, e quindi piuttosto che procedere all’arresto (che è la pena detentiva per una contravvenzione) si comminano é direttamente pene detentive più gravi come la reclusione (pena detentiva per la commissione di un delitto, ovvero un reato di particolare gravità), mentre resta elevata la necessità di dotarsi dell’unica misura cautelare che tuteli i territori mentre sono in corso le indagini, ovvero i sequestri.
A livello provinciale, il quadro che si delinea evidenzia la Provincia di Roma nei piani alti della classifica (terzo posto), con 231 infrazioni accertate. Nel quadro generale regionale delle illegalità legate al Ciclo dei Rifiuti, la provincia romana incide per il 61,4%, quella di Latina per il 17%, il frusinate per il 13%, le Province di Viterbo e Rieti per il 5% e il 3%.
Si conferma una penetrante illegalità nella gestione della spazzatura, anche se fino a oggi –almeno in sede giudiziaria– non risultano contaminazioni da parte della criminalità organizzata, che pure in altri settori è ben radicata e in ascesa su tutto il territorio. La comprensione delle dimensioni del fenomeno mafioso nella regione impegna la Direzione nazionale antimafia (Dna), che nell’ultima relazione (anno 2010) lancia l’allarme sul fatto che la “dispersione dell’attività investigativa nelle varie procure ordinarie senza alcuna forma di sistematica e tempestiva conoscenza e relativa utilizzazione dei dati investigativi riguardanti le indagini più significative (cioè quelle aventi per oggetto delitti associativi e il traffico organizzato dei rifiuti), in funzione di un coordinamento utile a evidenziare segnali di presenza di sodalizi mafiosi dietro le organizzazioni o i traffici individuati, ha di fatto reso impossibile o estremamente difficoltoso comprendere quali siano le dimensioni degli interessi delle altre mafie verso questo fenomeno criminale, interessi che non possono certamente escludersi”. Detto in altri termini, seppure in questa regione nell’ultimo anno “siano enormemente aumentati i reati ambientali […], l’esame dei procedimenti in questione, però, non consente di evidenziare un’infiltrazione della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti per quanto riguarda il Lazio”. La stessa relazione menziona comunque l’inchiesta della procura di Velletri (agosto 2009) – procedimento ancora aperto – su un traffico illecito di circa un milione di tonnellate di amianto friabile, che dalla Sicilia sono finiti nella discarica di Pomezia, in cui poteva arrivare solo amianto compatto.
Merita di essere ricordato il processo in corso relativo alla più importante inchiesta laziale contro pericolosi trafficanti di monnezza, denominata “Giro d’Italia. Ultima tappa Viterbo”, del 2 maggio 2005. Un’attività investigativa che ha consentito di scoprire un traffico di 250.000 tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non, che si snodava in mezza Italia e aveva come destinazione finale la provincia di Viterbo, per un giro d’affari di circa 2,5 milioni di euro. Quindici, alla fine dell’indagine, gli imputati rinviati a giudizio. Legambiente si è costituita parte civile, e grazie alle sue sollecitazioni si sono costituite anche la Regione Lazio, la provincia di Viterbo e i comuni di Vetralla e Castel Sant’Elia.
Mafie o no, la cronaca recente è zeppa di storie riguardanti provvedimenti giudiziari legati al ciclo dei rifiuti, con tanti imprenditori e funzionari pubblici solleticati dalla prospettiva di guadagni facili e spesso finiti nelle maglie della giustizia. L’inchiesta che ha destato maggiore scalpore mediatico ha riguardato la gestione dei rifiuti urbani. A Minturno, provincia di Latina, lo scorso 25ottobre la Guardia di finanza di Formia ha eseguito 7 arresti per truffa e frode in appalto pubblico (due imprenditori di Cassino, due di Minturno e tre pubblici funzionari del Comune). L’indagine era iniziata nell’agosto del 2008 con il sequestro di due aree di circa 30.000 metri quadrati usate illegalmente per lo stoccaggio e lo smaltimento di circa 84 tonnellate di rifiuti industriali: tra cui oli e altri liquidi tossici sversati dentro una cisterna profonda cento metri e situata a breve distanza dal fiume Garigliano.
Da segnalare, poi, l’elevato numero di discariche abusive disseminate in tutte le province laziali. In quella di Frosinone, per esempio, l’ottimo lavoro dei Carabinieri, guidati dal capitano Costantino
Airoldi e dal colonnello Antonio Menga, ha portato nell’ultimo anno a numerosi interventi nel campo dei rifiuti. Il 27 aprile scorso, i militari sequestrano l’impianto di depurazione di Villa Latina, in provincia di Frosinone, in gestione all’Acea Ato 5 Spa, “in quanto in stato di completo abbandono e in disuso – spiegano i Carabinieri in una nota – mentre lo scarico fognario di quel comune avviene direttamente nel Rio Sacco che scorre adiacente al citato depuratore. È stato infatti constatato – prosegue la nota – che mediante un tubo che scende a ridosso dello stesso depuratore, nascosto tra la vegetazione e delimitato da filo spinato, viene versato lo scarico fognario direttamente nel Rio Sacco che sfocia nel fiume Mollarino e, a sua volta, nel fiume Melfa.” Il giorno prima, gli stessi uomini dell’Arma avevano sequestrato ad Anagni la discarica di Radicina, a poche centinaia di metri dal bosco de La Macchia. Le analisi disposte immediata mente dai Carabinieri hanno accertato il superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazioni (Csc) per i parametri di piombo, arsenico, selenio e vanadio.
Altro caso eclatante è quello del disastro ambientale della Valle del Sacco. “Cagionavano per colpa generica e specifica un disastro ambientale, contaminando siti della Valle del Sacco destinati a insediamenti abitativi, agricoli e di allevamento, derivandone pericolo per pubblica incolumità, segnatamente per la pubblica salute, nonché l’avvelenamento delle acque del fiume Sacco destinate alla irrigazione dei terreni circostanti e all’abbeveraggio degli animali bovini e ovini ivi allevati con conseguente avvelenamento di sostanze destinate alla alimentazione umana (latte), prima che fossero distribuite per il consumo.” È con queste motivazioni che il pubblico ministero Luigi Paoletti, del tribunale di Velletri, ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti degli imputati per il disastro ambientale perpetrato ai danni della Valle del Sacco. Il ricordo dell’11 marzo 2005 è ancora vivo,con i sequestri nella Valle del Sacco di latte contenente betaesaclorocicloesano (βHCH), un prodotto di sintesi del Lindano (fitofarmaco bandito nel 2001 perché potenzialmente nocivo per la salute umana e animale e altamente inquinante) e lo stop alla commercializzazione del bestiame proveniente da più di quaranta aziende di nove comuni della Valle del Sacco, nelle province di Roma e Frosinone. Nella richiesta di rinvio a giudizio è raccolto con estrema sintesi il dramma di un intera popolazione, così irrimediabilmente offesa da uno dei peggiori crimini ambientali consumati in Italia. Insieme ad altre associazioni, Legambiente Lazio è costituita parte civile nel processo che si è aperto dopo anni di indagini, con l’obiettivo di ottenere un risarcimento completo:non solo la monetizzazione delle parti offese, ma anche garantire alla collettività le risorse necessarie per ottenere una completa bonifica dell’area.
Altre importanti operazioni a Ceprano (Fr), “Bring to light” nell’ambito della quale gli uomini della Guardia di finanza, coordinati dalla procura della Repubblica di Frosinone, sequestrano un’area
industriale di 40.000 metri quadrati situata nei pressi del fiume Cosa (sono stati rinvenuti numerosi fusti interrati contenenti materiale altamente inquinante); nell’isola di Ventotene i Carabinieri del Noe di Roma sequestrano un’area demaniale nella banchina del porto nuovo, dove sono stati “depositati in modo incontrollato rifiuti urbani pericolosi e rifiuti speciali non pericolosi”; sull’isola di Ponza, invece, il Noe di Roma sequestra un’area di circa 3.500 metri quadrati, ancora una volta demaniale, sulla quale è stata realizzata una discarica abusiva di rifiuti urbani e speciali pericolosi e non; a Roccasecca (Fr), i Carabinieri del Noe di Roma, nell’ambito di una vasta operazione contro un traffico illecito di rifiuti coordinata dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, sequestrano la discarica di Cerreto, nel comune di Roccasecca (sito utilizzato per stoccare i rifiuti dei 91 comuni che compongono la provincia di Frosinone). L’inchiesta vede coinvolte decine di persone, sono quattordici gli arresti eseguiti in tutta Italia.
3 – IL CICLO DEL CEMENTO
Pericolosamente stabile nella nostra Regione l’illegalità legata al Ciclo del Cemento: il Lazio rimane sul podio dei reati edificatori confermandosi al 3° posto, dopo Calabria e Campania, in sostanza con gli stessi numeri del 2009 con 721 infrazioni accertate (881 nel 2009). Diminuisce il numero delle persone denunciate, che passa a 913 (erano state 1.327 nel 2009), così come i sequestri effettuati che si attestano a 269 (contro i 360 del 2009) e rimane stabile il numero degli arresti pari a uno.
Il dato più preoccupante è quello che si evince analizzando il dato territoriale, dove la provincia di Latina si posiziona al 4° posto nazionale per infrazioni accertate e quella di Roma al 5°. A livello regionale, l’area pontina con le sue 264 infrazioni accertate, pesa per il 36 %, la provincia capitolina per il 34%, il reatino per il 12 %, la provincia di Frosinone e il viterbese per l’8%.
Possono servire per fotografare il fenomeno del cemento illegale nella nostra Regione anche gli ultimi dati ufficiali forniti dalla Regione Lazio: dal 2004 al 2009 sono stati perpetrati 41.588 abusi edilizi, con una media di 20 al giorno. Il 22% di questi si concentra i numeri e le storie del ciclo del cemento nei 23 comuni costieri della regione, in aree vincolate paesaggisticamente, dove un immobile vale sul mercato in media il 30% in più rispetto a edifici costruiti in aree di minor pregio ambientale. A ciò va aggiunta la iattura dei condoni edilizi, che manifestano i loro effetti perversi anche nel lungo periodo: secondo la società che ha gestito le domande, solo nella Capitale, fra le 28.072 pratiche esaminate nei primi 4 mesi del 2010, grazie alle foto aeree, ne sono state iscontrate ben 3.713 false, corrispondenti al 13,2% del totale. Una situazione che è resa ancora più grave a causa dei 6.503 immobili realizzati entro il 31 marzo 2003 ma in aree soggette a vincoli, e altre 2.099 edificazioni realizzate all’interno dei parchi, che fanno sì che il totale degli abusi insanabili nella Capitale sia pari, per il solo periodo considerato, a 12.315. Una lunga lista con dentro nomi famosi, professionisti di grido, calciatori, imprenditori, personaggi dello spettacolo. Un elenco contenuto in 2 cd, dove si legge di costruzioni abusive a due passi dal Colosseo, in pieno centro storico, nei parchi, cioè nelle zone più pregiate e tutelate. Sulla vicenda indaga anche la procura di Roma che ha sequestrato negli archivi della società 5.000 pratiche presentate fuori tempo massimo. E la stessa procura ha disposto la citazione diretta a giudizio per 33 persone in un’altra vicenda di presenti abusi che ha suscitato grande clamore: la realizzazione e l’ingrandimento di
strutture sportive che hanno ospitato la delegazione dei Mondiali di nuoto Roma 2009. Il pm Sergio Colaiocco ha disposto la trasmissione degli atti alla procura regionale della Corte dei Conti, per valutare eventuali danni erariali. Nel corso delle indagini sono state sottoposte a sequestro strutture di ben 15 circoli, per le quali sono state ipotizzate, a vario titolo, violazioni delle norme urbanistiche e paesaggistiche, relative a opere realizzate senza l’intesa con il Comune di Roma, che non ha neppure riscosso gli oneri concessori.
La provincia di Latina è la più colpita dall’illegalità nel settore edilizio e subisce anche una forte pressione della criminalità organizzata mafiosa, soprattutto di origine campana. Particolarmente esposti i comuni all’interno del Parco nazionale del Circeo, Sabaudia e San Felice Circeo in primis. Un’intera area dove si è costituito e ramificato un vero “sistema criminale” che Libera, l’associazione antimafia presieduta da don Ciotti, non ha esitato a chiamare la “Quinta mafia”. Che ha soprattutto nel ciclo del cemento la sua manifestazione più eclatante. Basti pensare che nel Parco nazionale del Circeo sono un milione e 200.000 i metri cubi fuori legge, 2 abusi edili per ogni ettaro; secondo gli investigatori, una parte è imputabile, direttamente o indirettamente, a esponenti della malavita organizzata e a quel sottobosco politico/economico che sta suscitando grande attenzione negli inquirenti. Due esempi. Il primo è l’operazione “Arcobaleno” del 24 marzo 2010 – coordinata dalla Dda di Napoli e condotta da agenti della questura di Latina e della Guardia di finanza – diretta contro il clan Mallardo e conclusa con l’arresto per associazione a delinquere di stampo mafioso di 11 persone e con la denuncia di 77. Il sud pontino si rivela una delle zone più ambite per “lavare” e reinvestire denaro sporco, soprattutto in immobili con affaccio sul mare e in pieno parco. Vengono sequestrati beni per oltre 400 milioni di euro tra Sardegna, Campania e Lazio. Sotto sigilli sono finiti anche terreni, fabbricati e attività commerciali a Sabaudia, Fondi, Minturno e Latina (…). Il secondo esempio risale alla metà di ottobre scorso, quando scatta nella città di Sabaudia l’operazione “Underwood”, condotta dalla polizia di Stato contro il clan Cava e un suo presunto prestanome, noto per essere stata più volte al centro di vicende giudiziarie nel sud pontino. Anche in questo caso, scattano puntuali i provvedimenti di sequestro giudiziario di beni mobili, immobili e conti bancari per un totale di circa 30 milioni di euro. L’ipotesi degli investigatori della Dda di Napoli sul principale indagato, Salvatore Di Maio, titolare di svariate attività commerciali a Sabaudia e già rinviato a giudizio lo scorso maggio, sarebbe il suo presunto collegamento al clan camorristico Cava di Quindici (Avellino). I beni sequestrati a Sabaudia sono una villa, due negozi e quattro terreni. Secondo la polizia erano intestati a un prestanome di Latina collegato alle società dell’imprenditore. A metà dicembre, nell’ambito della stessa indagine, arrivano nuovi sequestri di immobili per un valore di oltre 2 milioni di euro. Qualche mese prima, ad agosto, erano finite nelle mani dello Stato altre 20 unità immobiliari riconducibili sempre alla famiglia Di Maio. Emergono anche problemi di abusivismo edilizio. Le abitazioni completamente fuori legge si trovano a Sabaudia, al Km 21 della via Litoranea (…). E non è una novità, questa. Lo stesso Di Maio era stato condannato nel 2007 per aver realizzato un manufatto abusivo, mai demolito nonostante l’ordine del giudice, e anzi ampliato fino a ricavarne venti mini appartamenti, di cui uno anche già abitato. La lottizzazione si estende su un’area di circa 500 metri quadrati ed è stata realizzata su un terreno di proprietà dei figli di Di Maio (uno di questi è peraltro consigliere comunale). Intanto, il 29 aprile scorso la Corte d’appello ha dissequestrato alcuni immobili locati dalla famiglia Di Maio, ma di proprietà della regione Lazio (siti in piazza del comune a Sabaudia). Episodi, questi, per i quali alcuni parlamentari di opposizione hanno chiesto al ministro dell’Interno lo scioglimento dell’amministrazione comunale di Sabaudia per infiltrazione mafiosa. Una vicenda che assomiglia per molti aspetti a quella del comune di Fondi, distante solo poche decine di chilometri da Sabaudia. Il 9 aprile scorso, intanto, il pm Francesco Somiero nell’aula bunker di Poggioreale a Napoli, dove si sta svolgendo il processo, ha richiesto le condanne per tutti coloro che sono considerati i referenti del sodalizio campano nella provincia di Latina. Per l’imprenditore Salvatore Di Maio il magistrato ha chiesto una condanna a 10 anni per i reati di turbativa d’asta, riciclaggio di denaro e intestazione fittizia di beni.
Quella dell’Oasi Sportina Club di Tor San Lorenzo, frazione di Ardea, in provincia di Roma, è la storia di un abusivismo, per così dire, “ordinario”. Questo centro turistico sorge nel 1985 in area agricola e senza le relative autorizzazioni. Nel frattempo cresce, si espande e diventa un po’ villaggio, un po’ campeggio, un po’ residence: tutto rigorosamente abusivo, secondo gli inquirenti. L’area si estende per 35.000 metri quadrati, su cui sono stati realizzati in circa 20 anni 168 manufatti, tra case, ristoranti, impianti sportivi. Un complesso del valore di circa 35 milioni di euro finito sotto sequestro lo scorso mese di gennaio per mano della Guardia di finanza di Pomezia, agli ordini del capitano Augusto Dell’Aquila e del comando provinciale di Roma, coordinati dai magistrati della procura di Velletri. Così, dopo 35 anni dalla posa della prima pietra la parola passa alla procura, che ha anche ordinato alle 43 famiglie ancora residenti di lasciare le abitazioni. Un mese dopo è lo stesso tribunale del riesame a rigettare il ricorso presentato dalla società proprietaria per ottenere la revoca del provvedimento di sequestro (…). L’intervento si inserisce, comunque, in un quadro devastante: negli ultimi15 anni la popolazione di Ardea è cresciuta del 41%, ma dal 2004 al 2009sono stati censiti 657 abusi edilizi, ovvero 4,3 ogni 1.000 abitazioni e addirittura 2,7 ogni 100 abitanti. Questo fa di Ardea uno dei “paradisi” dell’abusivismo laziale. Per fortuna non mancano importanti segnali positivi legati ai recenti abbattimenti voluti dall’amministrazione comunale, un primo passo avanti sul terreno della legalità.
Anche il Parco dei Castelli è spesso vittima dell’abusivismo edilizio. Il giorno di San Valentino di quest’anno, i guardiaparco, insieme al Corpo forestale dello Stato e all’Arpa Lazio hanno messo i sigilli a Villa Dewi Francesca, un grande edificio che si staglia proprio sul costone del Lago di Albano,dotato anche di un albergo e un ristorante molto frequentati. L’edificio è stato messo sotto indagine per una lunga serie di reati in materia di smaltimento di acque reflue, approvvigionamento idrico e ampliamento non autorizzato della struttura che, in precedenza, era già stata parzialmente posta sotto sequestro. Allora, in occasione di una ristrutturazione, era stato realizzato un ampliamento dell’edificio, e in seguito, con la giustificazione formale di una bonifica dai rifiuti, si stava predisponendo un’area par sigilli sono arrivati per l’intera struttura e per i gestori della villa è scattata la denuncia per violazioni ambientali e urbanistiche. C’è anche una buona notizia: torna la legalità lungo le sponde del lago di Paola (Lt) In queste pagine sull’illegalità nel Lazio, qualche buona notizia fortunata mente non manca. Parliamo delle demolizioni dei manufatti abusivi realizzati all’interno del Parco nazionale del Circeo, che tanto scandalo hanno destato in questi anni. Si tratta di 12 interventi eseguiti lo scorso mese di dicembre. Da registrare anche gli abbattimenti, lungo le sponde del Lago di Paola, di un ristorante, di boutique, di scuole di sci nautico, di capannoni per il rimessaggio delle imbarcazioni e di parcheggi. Immobili sorti nel corso degli ultimi 25 anni sino a diventare il più grande ecomostro del Parco nazionale del Circeo (insieme agli scheletri di Quarto Caldo). Opere completamente abusive, realizzate ai Casali di Paola, in zona a tutela integrale e che per anni hanno deturpato uno degli angoli più suggestivi e vincolati dell’area protetta. Trova così un lieto fine una lunga battaglia civile e giudiziaria che ha visto in prima linea Legambiente, Libera e la stessa Comunione eredi Scalfati – proprietaria del lago – che ha pagato di tasca propria gli interventi, visto che le ordinanze di demolizione disposte dal tribunale di Latina non sono state eseguite dal responsabile degli abusi.
5 – ILLEGALITÀ IN CAMPO FAUNISTICO
Nel 2010 la Regione Lazio rimane al primo posto nella classifica dell’illegalità in campo faunistico con 1.091 infrazioni complessive su un totale di 5.835, per una percentuale del 18,7%. Complessivamente sono state 201 le persone denunciate, mentre sono stati 146 i sequestri effettuati. Gran parte del lavoro deriva dalle segnalazioni delle associazioni di volontariato e dagli interventi della Polizia Provinciale di Roma nell’ambito del contrasto alle violazioni amministrative su caccia e pesca. Intenso anche l’impegno di verifica dell’osservanza della normativa in materia di detenzione e cattura di fauna selvatica e la repressione del fenomeno del bracconaggio soprattutto all’interno delle aree protette.
6 – ARCHEOMAFIE
artistico e archeologico, continua ad affliggere l’Italia, considerato che è il Paese con più opere d’arte da custodire. E stabili rimangono le Regioni più colpite, a cominciare dalla nostra, con la Capitale in prima fila. Il Lazio rimane dunque al primo posto anche per il 2010, con un dato positivo riguardo ai furti che calano da 227 a 161 (su un totale italiano di 983), ed una percentuale – sempre sul totale nazionale – che scende dal 20,8% al 16,4%.